ebook di Fulvio Romano

giovedì 13 marzo 2014

Il Matteo tele-imbonitore

LA STAMPA

Italia

“Venghino siori venghino”

Matteo il tele-imbonitore

Tutte le metafore tra “vendesi auto quasi nuova” e “io pago”

Saranno fuggiti tutti: gli spiriti austeri e dolenti di Alcide De Gasperi e Mario Segni, forse pure lo spirito burrascoso del Mascelluto. Via da lì, dopo l’esorcismo. O il sacrilegio, secondo i punti di vista. Il monellaccio si è preso Palazzo Chigi col piglio di Matteo-provare-per-credere e la faccia di Matteo supermaxieroe. Col telecomando in mano a cambiare le slide, ora si chiamano così, ma non erano altro che poster a metà fra la promozione del tre per due e l’investimento sicuro nella polizza Vita Lunga & Felice. Elencava le conquiste di domani e dopodomani mostrando questi manifesti col carrello della spesa colmo di broccoletti e uova, bimbi biondissimi piegati sul quadernone, braccia muscolose nell’atto di sguainare la scimitarra per «cento giorni di lotta durissima» contro il nemico paludoso, quello che «si è fatto sempre così». Una cartellonistica da copertina di depliant, pesci rossi nella boccia di cristallo, operai che restituiscono ai muri tinte fresche, lampadine fra le dita a rischiarare le tenebre. Il tutto sotto cieli berlusconianamente azzurri. E Silvio, se lo seguiva da casa, avrà schioccato le dita: bravo Matteo, noi non ci avevamo pensato.

Solo un anno e mezzo fa eravamo lì, in quella saletta, ad ascoltare le dissertazioni formalistiche di Mario Monti; e prima l’approccio accademico di Romano Prodi, l’alterigia d’apparato di Massimo D’Alema. E persino le licenze brianzole di Silvio Berlusconi erano niente davanti al compiacimento di sé che Renzi ha issato su un palchetto con leggio: il sorriso sognante da primo bacio, la fregola del predatore, il cameratismo dell’attaccabottoni, la disinvoltura un po’ dozzinale di chi è venuto da fuori e il protocollo è roba da damerini, è salamelecco buono soltanto a intorbidare le acque. Qui c’è riformare la pubblica amministrazione ad aprile, il fisco a maggio, la giustizia a giugno. È la svolta buona: la svolta di ogni consuetudine, cioè si sgobba e ci si chiama per nome: Graziano (Delrio) quanto è la cifra esatta? Giuliano (Poletti) da che giorno si parte? Si presentano i progetti senza gravità di sopracciglio, in fondo siamo ragazzi. Si cedono le auto ministeriali, pronta la ridanciana slide: «Vendesi auto quasi nuova, colore blu». Ha una cera su cui c’è scritto: visto che simpatiche canaglie che siamo? Non si tiene. Lui è lui, e ha l’incrollabile certezza che un po’ di avanspettacolo sia quel che ci vuole. La fiera di campagna («venghino siori, venghino», dice a proposito delle auto blu), Totò («E io pago», è lo slogan del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione), Alberto Sordi («nun ja’a famo», è la giustificazione del rinvio di un mese della riduzione dell’Irpef).

E di sotto i poveri cronisti sballottati al vento, travolti da offerte e rilanci da teleimbonitore: non vi basta il fondo di garanzia per il credito? E io vi ristrutturo le scuole. È poco? Ecco i quattrini contro il dissesto idrogeologico, ecco i fondi di coesione, ecco il piano casa, ecco l’abbassamento dell’Irap. Non si ferma. Smanetta su quel telecomandino che fa scorrere i cartelloni-slide come un tempo le diapositive delle vacanze. Si sollevano i dubbi. La parola «coperture» era un colpo in canna da un bel po’: alla categoria nostra servono le famose pezze d’appoggio, la carta con sopra i numerini. Dove sono somme e sottrazioni? Per un momento lui si irrigidisce. Sembra che gli sia stata rovinata la festa. Ma insomma, dice, vi ho spiegato che il 27 maggio chi guadagna meno di mille e 500 euro al mese si troverà 80/85 euro in più. Vi ho spiegato che sono mille euro l’anno. Vi ho persino spiegato - e con la smorfia malandrina di chi conosce le proprie debolezze, e ne ride - che questo aumento volevo metterlo dal mese prima, che per le elezioni europee era meglio di mille spot. E voi vi preoccupate del foglio excel? E che ve ne fate?

Ma lo sconcerto dura un soffio, del resto quella non era certo una conferenza stampa: l’hanno chiamata così ma era un discorso alla nazione, era l’occhiolino alla vecchietta, la pacca sulla spalla al neolaureato, e dunque «cari italiani!». Proprio così, alza lo sguardo oltre le teste dei giornalisti (vuote, direbbe volentieri), guarda la telecamera che stringe l’inquadratura. «Cari italianiii!». Cari italiani, questi ciondoloni qua non ci arrivano, non so che diavolo pretendessero meglio di così, allora lo dico a voi: ottanta euro in più al mese. «Cara maestra, penso tu abbia il diritto di comprarti un libro in più»; «caro maestro, penso tu abbia il diritto di uscire a cena una volta in più». Poi si ributta nella mischia: domandate, chiedete, non me la sono presa. «Vai Vladimiro!», dice a Vladimiro Frulletti dell’Unità di Firenze. Dopo un paio di uomini vuole una donna. Tocca alle donne, avanti le donne. «Ho detto una donna, basta barbe!». È per la parità. E non scambiate la bonomia per ricreazione: se non cancello il bicameralismo perfetto, dice alla fine serio serio, lascio la politica. Prende e se ne va con un balzo. Ha una gran fretta, fuori c’è un mondo che è un palcoscenico.

mattia feltri


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