ebook di Fulvio Romano

giovedì 30 marzo 2017

l’ultima volta che abbiamo scelto una via integralmente italiana - correva l’anno 1922 - non è finita bene

LA STAMPA

Cultura

L’eccezione

di un’Europa

che ci copia

Che cos’è l’Italia senza l’Europa? Il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma che abbiamo appena celebrato non ci chiama soltanto a riflettere sull’identità europea, ma pure su quella italiana. Tanto più perché col fallimento del referendum costituzionale la nostra sfera pubblica è entrata in una situazione di stallo. Che alle prossime elezioni, con ogni probabilità, si trasformerà in crisi conclamata.

L’Italia è in difficoltà non soltanto con l’Europa che sta al di là delle Alpi, ma anche con quella che ha dentro di sé. L’aspirazione a essere compiutamente europea, il desiderio di adeguarsi ai grandi modelli settentrionali di modernità - la Gran Bretagna, la Francia, poi la Germania - ha rappresentato un elemento fondamentale dell’identità italiana fin da quando la Penisola s’è costituita in entità politica, nel 1861. Di più: l’unificazione aveva proprio lo scopo di rendere possibile che l’Italia si mettesse infine all’inseguimento di quei modelli.

Un - per così dire - «superego europeo», insomma, è fin dall’inizio parte integrante della nostra «psiche nazionale».

Ha avuto sempre e soltanto effetti positivi, quel superego? Assolutamente no. Ha generato frustrazioni e complessi d’inferiorità che sono spesso sconfinati in un vero e proprio «autorazzismo». E, per reazione, ha alimentato il nazionalismo e l’imperialismo. Tuttavia, è stato pure un motore potentissimo di crescita e modernizzazione. Che alternative avevamo, del resto? L’unica possibile era naufragare nel Mediterraneo. Naufragio più dolce di tanti altri, per carità. Ma pur sempre naufragio: quanto a civiltà politica, il Mediterraneo contemporaneo non è un granché.

Il superego europeo dell’Italia poteva esistere perché l’Europa nord-occidentale proponeva un modello di civiltà solido e credibile. Il problema, oggi, è che non lo propone più. In una celebre pagina de «Il giorno della civetta», Leonardo Sciascia descrive la sicilianizzazione dell’Italia con la metafora dell’avanzare della palma verso Nord: «E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma…». Allo stesso modo, potremmo dire oggi che l’Europa s’è italianizzata: ovunque i partiti si frammentano e polarizzano; le élite e i cittadini sono sempre più alieni le une dagli altri; i sistemi istituzionali sempre più farraginosi e inefficienti; gli scandali giudiziari sempre più clamorosi. Quanto alla post-verità che va tanto di moda, abbiamo inventato noi pure quella: non diceva Flaiano già mezzo secolo fa che in Italia la verità non esiste? Come il mercurio in un termometro, la palma continua a salire.

Agli occhi d’un italiano, l’italianizzarsi della politica europea può pure apparire uno spettacolo gustoso. Passato l’effimero momento di godimento, però, dev’esser riconosciuto per quello che è: un disastro. Un’Europa italianizzata, infatti, non può certo far da modello all’Italia. Lo vediamo con chiarezza se ripercorriamo la vicenda della riforma elettorale. Per anni abbiamo discusso di sistema inglese, francese, tedesco. Poi abbiamo abbandonato tutti i modelli in favore d’un marchingegno a tal punto peculiare che l’abbiamo chiamato «italicum». E magari ci fossimo fermati lì! Italianamente, quel sistema l’abbiamo poi smontato, per approdare a una legge proporzionale che è assai probabile ci consegni all’ingovernabilità. A quel punto avremo ricostituito la singolarità del caso italiano rispetto a un’Europa pure italianizzata. Ma non sarà certo una singolarità positiva.

Correremo anzi due rischi gravi. Il primo, di imboccare un qualche sentiero politico interamente, orgogliosamente italiano. Ora, la storia non si ripete mai, però giova ricordare che l’ultima volta che abbiamo scelto una via integralmente italiana - correva l’anno 1922 - non è finita bene. Il secondo, che la nostra singolarità contribuisca a far salire la palma sempre più su, e contribuisca infine al collasso dell’Europa.

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Giovanni Orsina


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“Da Marrakech alla Liguria per coltivare piante aromatiche

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Omar el Mansour

“Da Marrakech alla Liguria

per coltivare piante aromatiche”

«Adesso ho appena finito di caricare le margherite piantate lo scorso agosto. Da febbraio a giugno per noi sono mesi di punta e corriamo come matti. Come butta quest’anno? Incrociando le dita le aromatiche, salvia, origano menta e altre ancora stano andando bene». Omar el Mansour è nato 36 anni fa a settanta chilometri da Marrakech e 17 anni fa è sbarcato in Liguria di fatto già con un contratto in tasca: «Mio cugino mi ha chiamato al suo fianco per lavorare in un’azienda di piante aromatiche e fiori di proprietà di un imprenditore italiano». 

Il signor el Mansour ha lavorato otto anni come dipendente migliorando le sue conoscenze agricole e specializzandosi. Poi otto anni fa ha deciso di mettersi in proprio e se si guarda indietro ammette: «Ci vuole coraggio a fare cose tue se non c’è mercato». E il mercato, cioè i clienti sono arrivati poco per volta «anche grazie al mio ex datore di lavoro italiano che, all’inizio, mi ha aiutato a conquistare la fiducia delle persone». Adesso el Mansour, che nel frattempo è diventato cittadino italiano, è fiero della «qualità della mia produzione. Mi sono fatto un nome». La sua azienda, che porta il suo cognome, vende la produzione a grossisti locali e «credo che l’80 per cento finisca sui mercati esteri».

[M.Tr.]

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La rinascita dell’agricoltura con gli imprenditori stranier

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Il rapporto

La rinascita dell’agricoltura

con gli imprenditori stranieri

“Non solo caporalato, l'integrazione passa anche dai campi” 

È il giorno dell’avvio della Brexit e da Bologna, dove la Cia-Agricoltori italiani si è riunita per la sua conferenza economica, arriva un suggerimento per dar vita ad una “nuova Europa”: prendere come esempio «le aree rurali del nostro paese dove ci sono buone pratiche di integrazione e di gestione dell’immigrazione». Dino Scanavino, il presidente dell’organizzazione agricola, sa che è necessario fare i conti con «vicende circoscritte al malaffare come il capolarato che deve essere condannato e punito senza se e senza ma». Nello stesso tempo, però, si dice convinto che «se si guadano i numeri questi dimostrano come il made in Italy agro-alimentare cresca con il lavoro degli stranieri». Le cifre, allora: in tutta Italia ci sono 12 mila imprenditori agricoli extracomunitari, poco meno della metà dei 25 mila titolari stranieri di aziende del settore. Aziende che versano nella casse dello Stato 11 miliardi ogni anno tra oneri fiscali e previdenziali. 

Ma al conto economico si deve aggiungere anche il peso crescente della manodopera straniera nei campi. Secondo la Cia un’azienda agricola su tre fa affidamento su un lavoratore straniero. In tutta Italia sono 320 mila di cui 128 mila extracomunitari, stagionali compresi. Il loro numero dal 2000 al 2010 è cresciuto del 90% e si è stabilizzato negli ultimi tre anni con un incremento medio del 5%. Questa progressiva evoluzione potrebbe favorire il ricambio generazionale nei campi, ad oggi inferiore al 7% , ed evitare il pericolo di «un concreto dimezzamento degli addetti al settore nei prossimi 10 anni legato – secondo il leader Cia - al fatto che i titolari d’azienda italiani hanno un’età media superiore ai 60 anni». 

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maurizio tropeano 


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La Stampa. La rete putiniana dei populisti



Italia

La rete putiniana dei populisti

Dall’Ukip ai tedeschi di Afp

Nei rapporti con la Lega centrale il ruolo di un parlamentare russo

C’è una data-chiave nel disegno di Putin che ha portato alla creazione di una rete di partiti populisti europei legati a doppio filo al Cremlino. È il 15 dicembre del 2013. Quel giorno, al Lingotto di Torino, Matteo Salvini è diventato segretario della Lega Nord. Sotto il palco c’erano anche l’austriaco Heinz-Christian Strache (presidente del Partito della Libertà), il francese Ludovic De Danne (consigliere per gli affari istituzionali del Front National) e l’olandese Geert Wilders (leader del Partito della Libertà). Nulla di strano, visto che i movimenti della destra anti-sistema stavano preparando l’alleanza per le Europee del 2014. Accanto a loro, però, c’era anche Viktor Zubarev, parlamentare di Russia Unita. Che ci faceva l’uomo di Putin al congresso della Lega Nord? Negli anni successivi i contorni della risposta sono stati meglio definiti.

Matteo Salvini è stato più volte a Mosca. Marine Le Pen, proprio nelle scorse settimane, è stata ricevuta ufficialmente da Putin. Nel frattempo i rapporti tra i partiti della “rete” si sono intensificati e allargati, sempre in stretto contatto con il Cremlino. I movimenti, uniti tra le altre cose dalla lotta all’Ue, sono stati usati come una sorta di cavallo di Troia russo per spaccare l’Ue dall’interno. Alle elezioni del 2014 hanno ottenuto buoni risultati, ma non hanno stravinto e - almeno nel Parlamento europeo - sono stati marginalizzati. Era solo l’inizio di un percorso, che è proseguito nelle rispettive capitali. La rete si è poi estesa ad altri movimenti, Putin è riuscito a lavorare anche con i tedeschi dell’Afd, che dopo i buoni risultati in alcuni Land ora puntano alle elezioni politiche di settembre. C’è il forte sospetto che le campagne elettorali siano state finanziate con i soldi di Mosca.

Nel Regno Unito i media della propaganda russa hanno giocato un ruolo decisivo nella campagna per il referendum sulla Brexit e il leader dello Ukip, Nigel Farage, ha più volte espresso la sua ammirazione in pubblico per Putin. In Austria, i russi hanno puntato dritti alla presidenza dello Stato (senza però riuscirci), sostenendo il candidato Norbert Hofer. A dicembre è stato ufficialmente firmato un accordo con Russia Unita. In Ungheria, il Cremlino può contare sul forte appoggio del partito di estrema destra Jobbik, ma negli ultimi mesi ha messo un piede nel governo, grazie ai legami stretti con il premier Viktor Orban. Sempre più “disturbatore” nell’Unione Europea. 

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marco bresolin


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Anziché con Navalnyi, Grillo sta con Putin... M5s quinta colonna della Russia in Italia

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Italia

E Di Stefano ora ammette:

“Putin è già un interlocutore

ha vinto su tutta la linea”

“Repressione? Non tocca a noi valutare la democrazia in Russia”

«Gli arresti a Mosca? E allora Guantanamo? Non tocca a me valutare la democrazia in un altro Paese» dice Manlio Di Stefano per levarsi dall’impaccio di una domanda che in tanti fanno ai 5 Stelle: cosa dite della retata di massa di Vladimir Putin? Se c’è un partito in Italia che per somiglianza avrebbe motivo di simpatizzare con i giovani ribelli di Mosca è il M5S. Una piattaforma anticorruzione nata online, un leader, Aleksej Navalnyj, che è un blogger: cosa vi ricorda? Ma perché allora il M5S, nel suo complesso, tace? 

Nei piani di governo a 5 Stelle, Di Stefano è destinato a fare il ministro degli Esteri: perché è il più competente e ha una passione, coltivata negli anni, che ora è diventata un lavoro che lo fa viaggiare, incontrare popoli, stringere relazioni. E infatti è a lui che il M5S ha affidato il compito di delineare il programma di esteri che in questi giorni si vota sul blog di Beppe Grillo. Dieci punti che Di Stefano sta illustrando in diverse tappe da Nord a Sud. Ci sono i capisaldi del pensiero grillino che punta a ridefinire il ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo, con accordi bilaterali inseriti all’interno di una strategia multilaterale più fluida che dalla Russia arriva fino alla Siria di Assad, e alle critiche all’Eurozona affianca l’idea di un’Alleanza mediterranea, senza rinunciare al riconoscimento della Palestina. 

A Putin si torna sempre, senza timore per la durezza del pugno contro gli oppositori e l’aggressività fuori dai confini russi. «Perché allora non ci occupiamo anche dell’Arabia Saudita a cui l’Italia vende le armi? - chiede Di Stefano -. Io mi devo solo preoccupare di non favorire un governo nel commettere crimini. Mentre il ministro Alfano contesta gli arresti di Mosca, abbiamo fatto accordi milionari con i sauditi». Mosca ha represso il diritto di manifestare contro la corruzione. Matteo Salvini, leader della Lega Nord, amico di Putin, ha detto chiaramente che hanno fatto bene ad arrestarli perché le proteste non erano autorizzate. E il M5S? «Arrestarli tutti così non è propriamente democratico, ma perché non parliamo anche di Guantanamo? È ancora aperta e a Barack Obama hanno dato il Nobel per la Pace. Questa è ipocrisia: o condanniamo tutti i Paesi che ledono i diritti o non possiamo fare una selezione». Nel giugno scorso Di Stefano era l’unico politico italiano presente al congresso di Russia Unita, il partito di Putin, un invito «accolto con grande entusiasmo» ebbe a dire durante la visita dove riaffermò uno dei punti cardini dei 5 Stelle: l’eliminazione delle sanzioni alla Russia: «Putin è un partner strategico nella lotta al terrorismo, non vederlo è cecità. Assieme ad Assad ha vinto la guerra in Siria». 

Altro capitolo: Assad. Nel programma c’è scritto che vanno «ristabiliti i rapporti diplomatici con la Siria». Con un dittatore che ha sterminato civili e bambini? «Anche Federica Mogherini, ministro degli Esteri Ue, si è svegliata e ha riaperto ad Assad. Cosa fai altrimenti? O lo butti giù come Gheddafi o ci parli». Ogni punto si tiene assieme e c’è una coerenza nella visione di Di Stefano. Così per la Nato: «Va ridefinita la partecipazione italiana» dice il deputato che vuole organizzare una conferenza di pace sulla Libia a Roma e propone un’Alleanza del Mediterraneo tra i Paesi europei del Sud per fare blocco comune contro quelli a Nord in attesa di sapere se l’euro reggerà. «Fosse per me uscirei subito dall’euro, ma poiché nel M5S ognuno ha la sua posizione faremo un referendum. Sappiamo però che con la moneta a due velocità Merkel vuole istituzionalizzare la Troika, un organo di strozzinaggio per i Paesi più deboli che proponiamo di smantellare». Il futuro dell’Europa non sembra in cima ai suoi pensieri: «Io parlo di Italia non di Europa. E anche se non vedo l’Alleanza mediterranea come alternativa all’Ue è giusto chiedersi cosa esiste oltre l’Eurozona». L’idea è quella di «fare accordi commerciali bilaterali con chi conviene, in un contesto multilaterale». Via dall’euro, Ue e la Nato più deboli, Alleanza mediterranea: ma così non si favorisce solo Putin come interlocutore privilegiato e i suoi sogni di un’Unione Euroasiatica? «Putin - risponde Di Stefano - è già un interlocutore, perché ha vinto su tutta la linea». 

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ilario lombardo


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Perché siamo il Paese più facile da destabilizzare ( Sorgi)



Italia

Perché siamo

il Paese più facile

da destabilizzare

Si tratti di un sospetto concreto o di un’ipotesi di intelligence che viene da un Paese, come gli Usa, appena uscito dalle presidenziali che hanno visto a sorpresa la vittoria del candidato populista Trump, alla quale sembra non sia stato affatto estraneo il ruolo degli hacker russi sulla rete, non è affatto peregrina l’idea che Putin, dopo la Francia dove appoggia smaccatamente Marine Le Pen, possa dedicarsi all’Italia, spendendosi a favore di Grillo e dei 5 stelle, e non solo di Salvini, con cui coltiva relazioni privilegiate, nelle prossime elezioni politiche. 

Da tempo il leader russo è interessato a una destabilizzazione dell’assetto che penalizza la Russia con le sanzioni nate a causa dell’intervento in Ucraina, che nelle previsioni di Mosca sarebbero state destinate ad esaurirsi in tempi assai più brevi, e invece resistono, contraddicendo anche singoli ammorbidimenti di nazioni interessate a riaprirsi le frontiere del mercato russo.

Nel tormentato attuale quadro internazionale, e in attesa di una soluzione della vicenda siriana che sembra prossima ma ancora non arriva, non c’è dubbio che agli occhi del leader russo l’Europa rappresenti l’anello debole, che può cedere da un momento all’altro, e soprattutto può cambiare indirizzo, in caso di successo delle forze populiste, rispetto ai tradizionali e consolidati assetti delle alleanze strategiche. Il Regno Unito, con il successo della Brexit e l’apertura, due giorni fa, della procedura per il divorzio dall’Unione; la Francia con la Le Pen arrembante, che se anche non riuscirà a farsi eleggere presidente corre sicuramente verso un risultato storico. E subito dopo l’Italia, in cui, almeno nei sondaggi, la primavera del Movimento 5 stelle resiste a qualsiasi turbolenza e alla penuria di risultati dell’amministrazione romana conquistata nove mesi fa.

Sì, non ci vuol molto a capire che nell’Europa di oggi noi siamo i più facili da destabilizzare; e l’Italia, per la sua importanza di Paese fondatore, può innescare una reazione a catena fino a minacciare la tenuta del sistema dell’euro e dell’Unione. Per questo, la simpatia con cui i 5 stelle venivano guardati da Oltreoceano nel 2013, adesso ha mutato segno.

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Marcello

Sorgi


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Il governo Usa: “Fate attenzione Ci sono legami Russia-M5S”

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Italia

Washington

Il governo Usa: “Fate attenzione

Ci sono legami Russia-M5S”

L’allarme dell’amministrazione all’Italia: strategia di destabilizzazione

«Fate attenzione ai legami fra governo russo e M5S». È il messaggio circolato nei mesi scorsi nell’amministrazione Usa, con lo scopo di mettere poi Roma al corrente di un fenomeno più vasto: l’esteso impegno di Mosca a sostenere forze politiche intenzionate a sfidare gli establishment nazionali.

Con lo scopo di indebolire nel lungo periodo tanto l’Unione Europea, quanto la Nato. Sono fonti governative americane a ricostruire per «La Stampa» quanto sta avvenendo, spiegando in particolare che sono preoccupate per l’influenza che la Russia sta cercando di avere sulle prossime elezioni italiane, nell’ambito di una strategia di interferenza che tocca tutta l’Europa, dopo quella adottata durante le presidenziali degli Stati Uniti. Finora il potenziale punto di contatto è stato individuato da Washington soprattutto nei rapporti che Mosca sta costruendo con il Movimento 5 Stelle, e con la Lega, che però ha prospettive elettorali inferiori. 

All’origine di tali sviluppi ci sono le conseguenze dell’Election Day. Quando l’intelligence americana è arrivata alla conclusione che il Cremlino aveva gestito le incursioni degli hacker nell’archivio digitale del Partito democratico, per rubare documenti con cui deragliare la candidatura presidenziale di Hillary Clinton, l’apparato governativo degli Usa si è attivato per comprendere meglio le dimensioni e lo scopo di questa strategia. Quindi si è convinto che la Russia sta cercando di dividere e indebolire l’intero Occidente, favorendo le formazioni politiche che mettono in discussione le alleanze storiche e più recenti tra le due sponde dell’Atlantico. Questa offensiva era già presente negli Stati baltici, che avendo fatto parte dell’Unione Sovietica sono abituati a simili tattiche di propaganda e manipolazione, e le riconoscono in fretta. Discorso analogo per la Serbia e l’intera area della ex Jugoslavia. L’operazione però si è allargata anche al resto dell’Europa occidentale, che secondo gli analisti di Washington è meno pronta a capirla e difendersi. Perciò il governo Usa si è attivato, con missioni discrete che hanno riguardato anche l’Italia.

Gli obiettivi di Mosca sono tutti i Paesi dove nei prossimi mesi sono in programma le elezioni, che per la loro natura democratica consentono di infiltrare i sistemi politici e cercare di condizionarli. Al primo posto ci sono le presidenziali francesi, dove gli effetti dell’offensiva russa sono già stati pubblicamente notati, con la visita di Marine Le Pen al Cremlino e le informazioni uscite per attaccare l’indipendente Macron. Nel radar degli americani però ci sono anche le presidenziali del 2 aprile in Serbia, il voto di settembre in Germania, e quello che comunque dovrà avvenire in Italia entro la primavera del 2018. 

Secondo quanto appurato da Washington, i metodi usati sono diversi. Negli Stati Uniti gli attacchi sono avvenuti nel campo digitale, perché è molto sviluppato e offriva grandi opportunità. Lo stesso sta avvenendo già in Europa, come hanno dimostrato le denunce fatte da Macron. Più difficile è provare eventuali finanziamenti o aiuti diretti per le campagne elettorali e i partiti. In Italia il sistema digitale è meno sviluppato di quello americano, e i nostri apparati contano anche sul naturale scetticismo degli elettori per depotenziare eventuali offensive. Nel mondo di oggi, però, non serve molto: basta intercettare una mail o una lettera, per demolire un candidato o un partito.

Poi ci sono i rapporti personali diretti. Ha sorpreso, ad esempio, la visita di una delegazione italiana che qualche tempo fa è andata in Lituania, dialogando con la comunità di origine russa nel Paese. Rilevanti sono anche gli incontri con le ambasciate, che sono leciti, ma possono andare oltre la cortesia diplomatica. M5S e Lega non hanno fatto mistero dei contatti avuti con Mosca, e ciò ha suscitato preoccupazione, anche se in scala diversa. 

L’attenzione riservata dal governo americano a questi fenomeni è maturata prima dell’entrata in carica della nuova amministrazione Trump, e delle stesse presidenziali dell’8 novembre. Finora se ne sono occupati funzionari di carriera non partisan, e la loro attività è completamente slegata dalle inchieste in corso all’Fbi e al Congresso sulle eventuali complicità tra gli hacker russi e la campagna del candidato repubblicano. Si tratta in sostanza di valutazioni professionali, indipendenti dalle vicende politiche interne. La transizione naturalmente complica le cose, perché il governo deve affrontare altre priorità, e nei Paesi che sono potenziali obiettivi non sono ancora stati nominati i nuovi ambasciatori. Le elezioni italiane però sono quelle più lontane nel calendario, a fine aprile il premier Gentiloni verrà alla Casa Bianca e a maggio ospiterà Trump al G7, e quindi ci sarà il tempo per discutere e chiarire queste preoccupazioni. Da qui lo scenario di una consultazione in crescendo fra Washington e Roma sul ruolo dei grillini come emissari del Cremlino nel Bel Paese. 

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Paolo Mastrolilli


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Il lupo sull'uscio

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Prima Pagina

Il lupo sull’uscio

La storia dei delfini delle Eolie, ammirati fra gridolini di gioia dai turisti, e combattuti dai pescatori perché si mangiano tutto il pesce, suggerisce scanzonate analisi antropologiche. Anzitutto pare che i pescatori esagerino un po’, e ci marcino per spuntare sussidi, ma un pescatore è un pescatore, non un milionario, mentre il turista, dopo l’emozionante contatto con l’amorevole cetaceo, se ne torna in città nel suo caro asfalto. Dove, però, comincia a essere inseguito dall’esotica fauna: tutti sanno che i cinghiali, detestati e dispotici padroni della Maremma, sono arrivati in periferia: a Roma un motociclista ci è andato a sbattere ed è morto. Un meraviglioso esperto ci ha spiegato che fare in caso di incontro col cinghiale: non dargli le spalle, non guardarlo negli occhi, e se attacca schivarlo all’ultimo, come i toreri. L’ha detto davvero, abile mossa e olé, in punta di piedi. Di conseguenza i fan dei lupi si sono rianimati: proteggiamoli, che mangiano i cinghiali! E però, sarà per non farsi mangiare, ma tutti i cinghiali sembrano essersi trasferiti a Roma. In compenso i lupi si mangiano le pecore dei pastori di Amatrice. «La modernità ci ha portato il lupo sull’uscio», ha detto un giorno un saggio pastore amatriciano. Dunque, molta commozione e solidarietà col terremotato, purché lasci stare i lupi. Quelli se li tenga. E così vien da dire che gli animalisti abbondano dove scarseggiano gli animali, e viceversa. Ma si fa per scherzo, eh, ché il lupo va protetto, ma il rubrichista lo abbattono volentieri. 

Mattia Feltri


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venerdì 24 marzo 2017

Il primario: ho rotto il femore alla vecchietta per allenarmi

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Italia

Il primario: ho rotto il femore

alla vecchietta per allenarmi 

Il medico dell’ospedale Pini di Milano è stato arrestato

“Denaro da due multinazionali che vendevano protesi” 

«Le ho rotto il femore, l’ho lasciato lì così perchè... le ho fatto la via d’accesso bikini, per allenarmi su quella lì che devo fare privatamente... oggi ho fatto una vecchietta per allenarmi!».

Nemmeno le lacrime dei pazienti sarebbero riuscite a fargli provare compassione o senso di colpa, sacrificati volentieri sull’altare dei soldi, delle cene, delle vacanze e delle apparizioni televisive. In nome del successo e delle mazzette, il primario dell’ospedale Pini di Milano, Norberto Confalonieri, a quanto pare, era disposto a tutto. Anche a liquidare sprezzantemente un paziente che gli chiedeva aiuto dopo essersi ridotto in miseria per farsi operare privatamente. Il medico, considerato tra le menti più brillanti della chirurgia ortopedica, ieri è finito ai domiciliari, accusato di corruzione, turbativa e lesioni in una vicenda che per il suo squallore ricorda il caso della Santa Rita, la clinica «degli orrori», dove nel 2008 finirono in manette chirurghi e personale amministrativo per cure inutili e rimborsi dalla Regione non dovuti. 

«Il Confalonieri aveva altresì il potere e la capacita di manipolare le persone e le situazioni a suo completo vantaggio», scrive il gip Teresa De Pascale nel provvedimento con cui ieri mattina il chirurgo è finito ai domiciliari, mentre altre 5 persone indagate hanno ricevuto misure interdittive. Si tratta di Luigi Ortaglio, responsabile del provveditorato dell’ospedale di Sesto San Giovanni e di 4 dipendenti di multinazionali sanitarie. Secondo i pm Fusco e Mannella, Confalonieri, si sarebbe arricchito facendo gli interessi di due multinazionali, la Johnson & Johnson e B. Braun, fornitrici di protesi utilizzate nei suoi interventi ortopedici. E se l’esito si fosse rivelato un disastro, a riparare il danno ci avrebbero pensato gli ospedali pubblici, con i soldi della collettività. Le decine di casi di “danni ai pazienti”, contenuti nel provvedimento del gip, restituiscono uno scenario desolante. 

Non solo le operazioni - tale era la volontà del medico di osservare gli impegni assunti con le multinazionali - sarebbero state eseguite anche «in assenza di effettive esigenze cliniche», ma persino su pazienti di età avanzata o in condizioni fisiche precarie.

«Secondo me va in giro, li azzoppa e poi dopo...», lo accusa inconsapevolmente una collega intercettata. «Non gli rimane che operare le renne di Babbo Natale – replica un altro - e poi ha operato tutti in questo periodo». Confalonieri eseguiva interventi nelle strutture pubbliche, come il Pini, in cui era primario, secondo le accuse, «al solo scopo di’allenarsi» prima degli interventi, ben remunerati, nelle cliniche private. E in qualche caso, provocando danni. A rimediare, eventualmente, ci avrebbero pensato altri, nel pubblico. Aprile 2016: «Poi ho deciso quella lì... che ha rotto il femore la ricovero al Cto (ossia al Pini, ndr) e poi la opero (...) con la mutua». Un altro episodio è messo a verbale da Rocco Rizzo, primario anestesista del Pini. Il caso risale a circa 8-9 anni fa, e riguarderebbe una ragazza disabile morta in seguito a complicazioni dovute, sembra, a un intervento fin troppo sollecitato.

L’inchiesta è destinata ad allargarsi. Non a caso i pm avevano chiesto che Confalonieri, «il fulcro del sistema corruttivo» finisse in carcere e non semplicemente ai domiciliari. Hanno infatti acquisito 62 cartelle cliniche di pazienti operati da Confalonieri per stabilire se vi siano stati eccessi o lesioni anche in questo campo. Si legge in un’intercettazione «Questa relazione serve per coprire quello che abbiamo fatto...». Scrive il gip che bisogna «verificare se sono state impiantate protesi senza alcuna necessità clinica»

In una telefonata del 29 ottobre del 2015, ad esempio, il medico diceva: «Ho rivisto una... revisione di protesi d’anca... si era staccata... è un vecchietto di 91 anni». E ancora: «Ho finito adesso di fare un disastro di revisione d’anca che l’avevo cementato... mi è saltato tutto il cemento». L’inchiesta insomma è appena all’inizio e promette sorprese, purtroppo sgradevoli.

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manuela messina


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Exit dalla Brexit

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Exit dalla Brexit

Nel suo ultimo spettacolo Beppe Grillo ha detto che Ryanair ha fatto per l’Europa più di tutte le istituzioni di Bruxelles. Un po’ iperbolico ma affascinante, ed efficace. Da che ci sono Ryanair e Easy Jet, e tutte le compagnie di volo low cost, si va da Roma a Bucarest a 15.89 euro e da Bergamo a Düsseldorf a 5 euro e da Bari a Malta a 16.66 euro. Per i ragazzi e per le famiglie fare un week end a Parigi è costoso come farne uno a Sperlonga: eccola la rivoluzione, su e giù per l’Europa a due soldi. Ed ecco la ragione per cui Ryanair e Easy Jet sono diventate la prima e la seconda compagnia del continente per numero di passeggeri. Nel 2016 Ryanair ne ha trasportati oltre cento milioni. Ma bisogna dire, lo sa anche Grillo, che è successo grazie alla liberalizzazione voluta dall’Ue, una specie di Bolkestein dei cieli. Però adesso arrivano i guai: con la Brexit l’azionariato delle due compagnie passerà a maggioranza extracomunitaria e di conseguenza Ryanair ed Easy Jet sono aziende extracomunitarie, senza più i vantaggi del mercato comune. Traduzione: perderanno moltissime tratte e le poche conservate costeranno parecchio di più. Se dovessimo ribaltare il ragionamento di Grillo, Brexit ha fatto più danni all’Europa di tutte le istituzioni di Bruxelles. Ma anche in questa, come in tutte le buone storie, c’è il colpo di scena finale. Ryanair ed Easy Jet hanno un sistema per salvare sé e tutti noi, e cioè vendere azioni a investitori comunitari. Seconda traduzione: restare europee. Exit dalla Brexit. 

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Mattia Feltri


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venerdì 17 marzo 2017

Il ritorno della quinta colonna

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Ma colleghiamoci con. Arriva sempre il momento magico: colleghiamoci con. Il conduttore si gira verso il maxischermo dove compare l’inviato e la gente gli è attorno, ma proprio la gente, e quindi l’Italia reale, l’Italia della pancia, che la politica non ascolta, da cui è lontana, ed è l’Italia finalmente armata di voce, libera di urlare rabbia ed esasperazione. È successo anche lunedì su Retequattro. Ospiti issati su un banchetto (un piccolo patibolo, a dirla da maliziosi), Gianfranco Rotondi e Antonio Razzi, nell’ordine l’intelligente difensore della casta e il pagliaccesco membro della medesima. Dalla piazza di Marigliano (Napoli) parte il jingle: ladri, vergogna, il vitalizio, i privilegi, andate a casa, è finita. Rotondi se ne va davvero. Il conduttore dice: è questa l’Italia che non capite più. Rotondi replica: questa è l’Italia che state costruendo voi. Ma ancora Rotondi non sapeva quanto quel verbo, costruire, fosse scientifico. Uno degli urlatori era il compagno di scuola di Luigi Di Maio, già candidato a sindaco di Marigliano. Il secondo urlatore era un consigliere comunale a cinque stelle. La terza urlatrice, un’attivista a cinque stelle. Sullo sfondo, silente ma riflessivo, un consigliere regionale a cinque stelle. Praticamente una manifestazione di grillini camuffata da folla dolente, in applicazione della dottrina del blog di Grillo che non è il blog di Grillo: dite quel che vi pare, ma non fatevi riconoscere. Ah, la trasmissione si chiama Quinta colonna, giustappunto. 

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Mattia Feltri


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giovedì 9 marzo 2017

Il pianeta dei matti

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Il pianeta dei matti

Notizie dal pianeta dei matti. Luigi Di Maio ha detto che il Pd ha fatto danni come una guerra mondiale, e al tramonto dell’impero i cortigiani arraffano quello che possono. Michele Emiliano, candidato alla guida del Pd, ha detto che non farebbe mai alleanza con Forza Italia ma coi Cinque stelle sì, forse sui presupposti offerti da Di Maio. Miguel Gotor, senatore uscito dal Pd, ha detto che Luca Lotti dovrebbe dimettersi per coerenza, come furono fatti dimettere Josefa Idem, Maurizio Lupi e Federica Guidi. Il ministro Maria Elena Boschi, che invece non fu costretta alle dimissioni, sebbene molti gliele chiedessero per l’inchiesta sul padre in Banca Etruria, ha annunciato che il padre è stato prosciolto. L’ex direttore del Quotidiano della Calabria è invece stato condannato perché il giornale definì d’assalto il pm John Henry Woodcock a proposito dell’indagine su Tempa Rossa, per cui si era dimesso il ministro Guidi e poi finita in nulla; la Cassazione ha stabilito che è diffamatorio definire d’assalto Woodcock perché ne vulnera gratuitamente la dignità, e però è legittimo sottolineare la negligenza in diritto amministrativo e civile del medesimo Woodcock. Che ora è tornato in prima pagina per l’inchiesta Consip e le sue spettacolari fughe di notizie, spettacolari come quella su Antonino Ingroia, ex pm antimafia che deve rispondere di spese allegre da manager della Regione Sicilia. «Qualcuno ha dato la notizia in pasto alla stampa», ha detto Ingroia, che per la stampa del pianeta dei matti fu boccone prelibato. 

Mattia Feltri